domenica 27 marzo 2016

POETI SALENTINI DAL 1700 AD OGGI


Nel centro storico leccese, percorrendo via Leonardo Prato dirigendoci verso porta Napoli, la prima traversa che incrociamo è via Francesco Antonio D' Amelio.
Consultando il dizionario biografico Treccani, leggiamo la seguente definizione che riguarda questo poeta di casa nostra : " Piccolo travetto, il D' Amelio ( Lecce 1775 / 1861 ) riacquista solo parzialmente dignità con la poesia ".
Un po' troppo riduttiva, però questa definizione rispecchia le doti umane del  D' Amelio che ha il pregio di essere stato il primo poeta leccese, ad usare il nostro dialetto per fini letterari, restando sempre e comunque un impiegato dell' ufficio del registro che non faceva mai pagare le multe ai suoi superiori.
Indiscutibile però la sua vena satirica ed umoristica in questo sonetto che ricalca, per un gallo, la storia dell' asino morto prima ancora di imparare a vivere senza mangiare.

A N' AMICU PE NU CADDU CA IA MUERTU DE SUBETU 

Ronzu ( salute a nui ) lu caddu è muertu;
S' ha truatu stanotte a nterra stisu
Cu li tienti de fore, e musi tuertu,
Comu si se crepasse de lu risu.

Subra a quiddu nu nc' è nuddu cauertu
Ci criti ( tantu sia ) ca l' anu ccisu;
Ma sulu sta tenia lu culu piertu
De du l' arma ia essuta a lu mpruisu.

Nu miedecu de ciappa l' ha sparatu,
E betendu lu ficatu e le ntrame,
Nuddu male de morte nci ha truatu;

Ma se amu stare a le palore soi,
tocca criti ca è muertu de la fame,
Solitu male de li caddi toi.

giovedì 24 marzo 2016

LA CULONNA TE SANTU RONZU

Narra la storia che nell' anno 1656 la provincia di Lecce fosse afflitta da una grave epidemia di peste, la città di Lecce, grazie all' intercessione del suo santo protettore, sant' Oronzo, esortato dalle preghiere dei cittadini, riuscì a debellare quel morbo.
A seguito di ciò le autorità cittadine decisero di innalzare al santo un pubblico monumento.
Il sindaco di Brindisi, Carlo Stea, offrì allora alla città di Lecce una delle due colonne in cipollino africano, che alcuni storiografi errando attribuivano appartenute ad un tempio  di Minerva; poste al' ingresso del porto della città, indicavano l' inizio della via Appia che conduceva a Roma, tale colonna, alta circa 30 metri era caduta dal suo basamento posto su di un rialzo di terra.
La decisione del sindaco fu però osteggiata dai suoi concittadini, per ciò la donazione fu ratificata solo nel 1660 dal vicerè di Napoli, l' anno successivo fu così trasferita a Lecce suddivisa in 7 blocchi, col capitello.
La statua bronzea però, fusa a Venezia, vi fu adattata solo nel 1739.

LECCE: Porta Rugge o Rusce ai primi del 1900  

MAGLIE: il mercato del sabato ai pri,i del 1900


martedì 22 marzo 2016

La TERRA D' OTRANTO



Su questa lingua di terra che si estende in forma di penisola tra il mare Adriatico e il mar Ionio, un tempo Magna Grecia, oggi alquanto ristretta chiamata terra d'Otranto, soffiò più volte con varia fortuna il vento della civiltà, e la messapica, la greca, la romana, la saracena, la gotica , la normanna lasciarono a volta a volta ampia orma di loro soggiorno nella terra e negli abitatori.
Poche regioni ebbero, più di questa trionfi tanto gloriosi e cadute tanto mortali.
La storia dirà che i nostri antenati, prima in guerra tra loro , non ebber paura delle aquile romane, e a Fabio Massimo, come al cartaginese Annibale opposero lunga e valorosa resistenza.
La storia dirà che i nostri padri non paventarono la civetta d' Atene, e che poi combatterono contro i cavalieri barbari, saraceni, goti e normanni.
La storia registrerà le gesta delle città nostre a quelle messapiche che coniarono monete ed ebbero eserciti, alla generosa Otranto, che si coprì di gloria combattendo contro l' invasione dell' esercito , e salvando col proprio sangue la salute e l' onore d' Italia
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Terra d' Otranto vedeva poco a poco sparire nell' oblio le sue tradizioni più belle
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Chi le vicende di questa terra conosce, può argomentare il grave danno che a lei proviene dal neghittoso abbandono della sua storia

Giuseppe Gigli Superstizioni pregiudizi e tradizioni in Terra d' Otranto
Manduria 10 novembre 1892

Quanto è attuale oggi ciò che il Gigli scriveva più di 120 anni fa

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