domenica 1 dicembre 2019

Di tutto un po': È TUTTA COLPA DI ESOPO ovvero le scuse di Fedro

Di tutto un po': È TUTTA COLPA DI ESOPO ovvero le scuse di Fedro: È lo stesso Fedro, nel prologo al suo libro Fabulae Aesopiae , a dire ciò, il titolo del libro è difatti " favole di Esopo ", egli...

È TUTTA COLPA DI ESOPO ovvero le scuse di Fedro

  È lo stesso Fedro, nel prologo al suo libro Fabulae Aesopiae , a dire ciò, il titolo del libro è difatti " favole di Esopo ", egli infatti esordisce proprio dicendo che in fondo Esopo ne è l' autore e lui solo il traduttore e traspositore in versi senari delle opere dell' autore greco.

Prologo
 Aesopus auctor quam materiam reperit,
 Hanc ego polivi versibus senariis.
 Duplex libelli dos est: quod risum movet,
 et quod prudenti vitam consilio movet.
 Calumniari si quis autem voluerit,
 quod arbores loquantur, non tantum ferae,
 fictis iocari nos meminerit fabulis

È Esopo l' autore  che ebbe l' idea,
Che io ho trasposto in versi senari.
Ha doppia dote il libro; fa ridere,
e porta ad esser prudenti in vita.
Ma se qualcuno volesse biasimare,
che parlan alberi, non soltanto fiere,
è falso gioco, son solo favolette. 

 

DE RE COQUINARIA ( DELL' ARTE CU8LINARIA)

 ANTICA CUCINA DI ROMA APICII COELII - DE RE COQUINARIA

Apicio Celio, soprannome di Marco Gavio Apicio, nato a Roma attorno al 25 a.c., narrato da Seneca e da Plinio il vecchio e da questi definito " il re degli scialacquatori " , forse il precursore e reale inventore di qualcosa di molto somigliante al Foie Gras francese con un' estrema tortura delle oche che ingozzate di fichi, allo scopo di far loro ingrossare il fegato (da cui il nome ficatum = fegato). È considerato l' autore di un volume di ricette che rimane una delle pochissime testimonianze sull' alimentazione dell' antica Roma. Intitolato DE RE COQUINARIA ( dell' arte culinaria), è una raccolta di 200 ricette di cucina e di altri preziosi consigli su come preparare vini aromatizzati, salse e tutto ciò che veniva servito nelle succulente riunioni conviviali della Roma gaudente.

venerdì 29 novembre 2019

DICEMBRE


DICEMBRE

Da questo calmo mar che lo riflette,
tiepido sol dall’ orizzonte s’ alza
ed all’ abbraccio dolce s’ abbandona
del terso ciel che con amor l’ accoglie.

Ora DICEMBRE nell’ aria aleggia,
chiuder alfin quest’ anno ch’ è trascorso,
e dell’ uom, i misfatti già perdona,
che alla terra tanti mali reca.

La verde erba , gli umidi fiori,
che nella fredda notte han tremato,
son risvegliati dal caldo abbraccio
ch’ evaporare fa fredda rugiada.

È dolce, il risveglio di natura,
che uccelletti con allegri voli,
riempion l’ aria di dolci melodie,
e della terra, cheta il brontolio.

venerdì 27 settembre 2019

CE LO DICE IL QUOTIDIANO DI OGGI


MI CHIEDO COME MAI I NOTAP PROTESTINO TANTO
QUANDO ALLA FINE A QUELLA PROFONDITÀ IL TAP  NON DÀ FASTIDIO A NESSUNO
A 750 METRI DI PROFONDITÀ SI TROVANO SOLO REPERTI
MA LA SOCIETÀ ASSERISCE CHE I LAVORI SONO ORMAI QUASI ULTIMATI



HANNO PERSINO REIMPIANTATO GLI ULIVI SRADICATI


sabato 3 agosto 2019

FEBBRAIO

Non tutti conoscono l' origine del nome del mese di FEBBRAIO.
Secondo la religione cristiana, esso prende il nome da santa Febbruata, che dovrebbe derivare dalla dea romana  Febris sinonimo di febbre e quindi purificazione.
Le ragioni di tale diceria sono da imputarsi a causa del volere del clero di soppiantare gli antichi culti pagani e le loro feste orgiastiche, con modelli più castigati, idonei ad una nuova moralità cattolica anche a costo di instaurare santi, in realtà, mai esistiti.
Fu infatti papa Gelasio ( 492 / 496 )   ad ottenere dal Senato romano l' abolizione dei riti collegati ai Lupercalia, egli scrisse una lettera al senato lamentando il fatto che i Lupercalia erano feste pagane alle quali partecipavano anche i cristiani ( già allora, la chiesa non riusciva a tenere sotto controllo i propri fedeli ).
Il nome del mese di Febbraio deriva in realtà dalla festa romana dei Lupercalia, durante queste feste che si protraevano dal 14 al 16 febbraio,alcuni luperci ( sacerdoti dediti al culto del fauno Luperco ), divisi in due gruppi formati da luperci Fabiani ( componenti della gens Fabia ) e luperci Quinctiales ( appartenemti alla famiglia dei Quinti ),  coperti solo da perizomi di pelle di caprone percorrevano un itinerario, verso la grotta dedicata al fauno Luperco alle pendici del Palatino e, con delle fruste, sempre fatte con pelle di caprone, fustigavano la terra e tutti  coloro che si trovavano nei paraggi e principalmente  le giovani donne romane, propiziando in loro la fertilità; queste fruste erano chiamate Februs, da qui il nome di febbraio.
Secondo Plutarco e Dionigi di Alicarnasso, i Lupercalia furono feste istituite dal dio greco Pallante, Evandro ( figlio di Mercurio e della ninfa Carmenta )  nella tradizione romana, il quale, giunto sul colle Palatino al quale aveva legato il proprio nome, in una grotta alle pendici del colle; che secondo la tradizione era anche  stato il rifugio dei gemelli Romolo e Remo, allattati dalla lupa.
Qui Evandro volle trapiantare nella terra italica il culto arcadico dei Lupercalia,
Dai Lupercalia trae origine anche il carnevale  e la festa dell' amore san Valentino.
Si vuole anche che i Lupercalia traggano origine dalla festa celtica di Imbolc; ma noi propendiamo per la tesi di Plutarco.

PROVERBI SALENTINI

Frate marzu, frate marzu, mprestamenne ddoi ca te nde tau quattru, ah! se li ggiurni mei eranu tutti, fascia cquagghia lu mieru intra lle utti;
Febbraru, o au o egnu, capu t' estate sempre tegnu;
Febbraru mienzu tusce e mienzu maru:
Febbraru, notte e ggiurnu paru;
Candelora chiara, Febbraru cupu;
A febbraru, l' aceddhruzzi paru a pparu ;
Annu bbisestile, cu nu pozza mai enire;
Pe la candelora ogne aceddhru à ffare casa;
Te la candelora la ernata ete fora, na se la sai cuntare, qiaranta ggiurni ncora à ffare;
La sciuetia rasseddhra ( giovedì grasso ), sci nu ttene carne, se mpigna la unneddhra;
Carniale chinu te mbrogghie, osce mmaccarruni, crai mancu fogghie;
Fanne bbuenu lu carniale, ca pe lla quaresima ncete sempre tiempu;
Pe ssantu Alentinu fiurisce lu spinu;

domenica 28 luglio 2019

GENNAIO

A completamento dell' opera " LA BALLATA DELLE STAGIONI " ho voluto dare spazio alla cultura contadina del mio Salento, aggiungendo proverbi e modi di dire salentini sempre collegati al tema che contraddistingue lo scorrere del tempo e le sue stagioni.
Spero che ciò aiuti a diffondere e far meglio conoscere la cultura contadina che fa parte della cultura più generale di tutti noi.
Oggi pubblico la prima parte dedicata al mese di GENNAIO sperando che gli amici che la leggeranno  la trovino interessante:

GENNAIO

Nei calendari dell’ antica Roma, il periodo invernale non era un periodo vivo, ma dormiente, la onatura covava sottoterra e le piante non sbucavano dal terreno; perciò il calendario degli antichi romani era composto da 10 mesi.
L’ anno iniziava con il primo marzo e terminava in dicembre ed era composto da 340 giorni.
Numa Pompilio pose rimedio a ciò creando un nuovo calendario di 365 giorni, aggiungendo i mesi di Gennaio e Febbraio, dal quale successivamente fu derivato il nostro calendario gregoriano.
Numa Pompilio nel suo nuovo calendario spostò l’ inizio dell’ anno al primo Gennaio.
Perchè Numa Pompilio diede al primo mese del nuovo calendario il nome Gennaio ?
Egli lo fece per onorare quella che era la più importante divinità romana di quel periodo; padre di Tiber ( tevere ) e del dio fons ( dio delle sorgenti ), il dio bifronte Giano, dio della conoscenza, capace di porre uno sguardo al passato ed al futuro, perciò anche della sapienza, dell’ esperienza, degli inizi e della fine, che conosce il passato ed il futuro, dio della transizione soprannominato fra l’ altro deus deorum, Giano rappresenta la più antica divinità del Pantheon romano, dio italico che non ha corrispondenti nella mitologia greca. Anche se la sua figura potrebbe essere stata ripresa dalla divinità bifronte Sumera Usmu o Isimud il cui culto fiorì durante il periodo babilonese Kaka.
Al suo nome era stato dedicato il colle Gianicolo.
Dio considerato molto umano al punto che si poteva anche ironizzare con la sua immagine, come descritto da Seneca nel poema burlesco “ l’ Apocolocintosi “, o da Orazio che lo definì “ dio Mattutino “.

La campagna salentina innevata
Naturalmente quelli che ho presentato sono solo alcuni dei proverbi che i nostri nonni conoscevano ed erano soliti narrare per descrivere e bizzarrie del tempo ed il suo scorrere scandendo i tempi e le stagioni vhe permettevano di curare la terra per raccogliere i migliori frutti nella stagione più adatta.

venerdì 26 luglio 2019

DI PEGGIO IN PEGGIO

DOPO IL PUNTERUOLO ROSSO, LA XYLELLA, IL TAV, L' ILVA
LE BALLE DEL CAZZARO VERDE ECCO UN ALTRO SCHIAFFO DATO ALL' ITALIA DAI GIALLOVERDE
LO SFREGIO AL NOSTRO AMBIENTE CHE ATTRAVERSERÀ L' ITALIA DAL SALENTO ALLE ALPI
DUE GASDOTTI, UN VERO AFFRONTO A TUTTI NOI




venerdì 5 luglio 2019

A PROPOSITO DI.......

Ci comunica Travaglio sul " FATTO QUOTIDIANO"  di oggi



Ora però ci sorge un dubbio :
DEFINIRE SALVINI  "  CAZZARO VERDE " PUÒ ESSERE DI PUBBLICO DOMINIO OPPURE È SOGGETTO A COPYRIGHT ?

venerdì 24 maggio 2019

PROVERBI E INDOVINELLI MALIZIOSI SALENTINI


A inti, vagnona;
a quaranta nziana;
a cinquanta ecchia bbefana; 

                                                            A venti ( anni ) ragazza ;             
                                                            a quaranta anziana;
                                                            a cinquanta vecchia befana;

A mmarsu chioe, chioe;
a bbrile chioe e ttene;
a mmasciu luna bbona,
ogne chiantisceddhra se rennua;
                                                             A marzo piove, piove;
                                                             ad aprile piove e smette; 
                                                             a maggio luna buona,
                                                             ogni pianticella si rinnova

Quannu lu tiaulu te ncarizza,
l' anima nde ole;
                                                             Quando il diavolo ti accerezza
                                                             vuol comprarti l' anima;   

Se uei tte mpari lu liettu a ccunzare,
prima li pieti e poi lu capitale;

                                                             Se vuoi imparare il letto ad aggiustare
                                                             prima i piedi e poi la testiera;

Donna baffuta, sempre piasciuta.
                                                             Donna pelosa è sempre piaciuta.


NDUINELLI                                         iNDOVINELLI

Longa e janca, capirussa
ci la nfilu a vanna scura
dopu nnu picca, lu nasu ni cula;

                                                              Lunga e bianca, rossa in testa
                                                              se la infilo in un luogo buio                                                               dopo un po' le cola la testa;

Notte era, scuru fascia,
lu carottu nu bbetia,
scia cu lla mpizzu nu nci trasia;
                                                         
                                                               Era notte faceva buio,                   
                                                               il buco non vedevo
                                                               cercavo di infilarla ma non entrava;

Tegnu nna cosa, la essu e la trasu
se nduini te tau nnu asu.
                                                               Ho una cosa che entro ed esco,
                                                               se l' indovini ti do un bacio. 

SOLUZIONI

1 )  LA CANDILA                                   LA CANDELA
2 )  LA CHIAI INTRA LLU PERTUSU    LA CHIAVE NELLA TOPPA
3 )  LU MENATURU                               IL CHIAVISTELLO

domenica 19 maggio 2019

I MALI DEL MONDO - IL VASO DI PANDORA

SIR LAWRENCE ALMA TADEMA - PANDORA 1881

Sembra che il titano Prometeo avesse creato l' uomo impastando la creta e dandole vita; non aveva però creato la donna ( di ciò però la teogonia non ne parla ), per cui provvide Giove a dare l' incarico a Efesto ( il figlio zoppo di Giove, re del fuoco conosciuto dai Romani col nome di Vulcano ) e agli altri dei di creare la donna e farne dono agli uomini.
Noi sappiamo però che Giove non amava il genere umano, anzi non perdeva occasione di tormentarlo mandandogli saette e iatture per ribadire la sua avversione che raggiunse l' apice nel tentativo di annientare l' intera razza umana con l' invio di un diluvio.
Prometeo invece difendeva la stirpe umana non lesinava di favorirla anche a danno dello stesso Giove, come nell' occasione del sacrificio a Mecone o in occasione del dono del fuoco agli uomini; fu proprio in occasione di quest' ultimo episodio che Giove volle vendicarsi legando Prometeo ad una rupe  dove ogni giorno un' aquila, nata da Echidna e da Tifone, aveva l' incarico di divorargli il fegato che di notte ricresceva rendendo questo supplizio infinito.
Dopo aver punito Prometeo, Giove volle punire anche gli umani donando loro una donna di nome Pandora.
Qualcuno potrebbe osservare che in fondo questa non era poi una gran punizione, la donna è sempre ben accetta da un uomo, infatti il disegno di Giove era proprio questo, dare agli uomini una punizione che fosse a loro gradita; ma andiamo per ordine.
Esopo, ci racconta la storia nella " Teogonia " e ne " Le storie e i giorni ",
Prometeo è figlio del Titano Giapeto, fratello di Crono, quindi cugino di Giove, in occasione di un solenne sacrificio a Mecone, aveva diviso la vittima di questo sacrificio , un grosso bue, in due parti, in una aveva messo nella pelle la carne dell' animale e le visceri  e le aveva ricoperte col ventre dell' animale, nella seconda metà della pelle aveva messo le ossa spolpate e le aveva ricoperte col grasso bianco, chiese poi a Giove di scegliere un delle due parti, Giove non subodorando l' inganno, aveva scelto la parte dove vide il bel grasso; quindi Prometeo donò agli uomini l' altra parte.
Accortosi dell' inganno, Giove decise di non mandare più agli uomini il fuoco che mandava sotto forma di saette.
Prometeo decise di soccorrere i mortali, rubò dalla fucina di Efesto i semi del fuoco e li portò sulla terra nascosti in un gambo di ferola.
Giove adirato legò Prometeo alla rupe e giurò che non lo avrebbe liberato mai più dicendo fra l' altro agli uomini che sarebbero, per ciò stati puniti :
" Io vi procurerò un tale danno che tutti accetterete con gioia ".
Quindi ordinò ad Efesto di impastare la creta con l' aqua  e di dargli voce e forma umana somigliante, in bellezza, alle dee immortali, Efesto eseguì l' ordine.
Ordinò ad Atena di insegnarle l' arte della tessitura e del ricamo;
ad Afrodite di infonderle la grazia, i desideri tormentosi e le pena d' amore;
ad Ermete, il traghettatore delle anime ordinò che le infondesse una mente di cagna e modi fraudolenti ( la menzogna e la furbizia );
da Mercurio le fece infondere la curiosità.
Mandò quindi un araldo a Ipemeiteo, fratello di Prometeo, un araldo che accompagnasse Pandora come dono da parte di Giove.
Giove inviò anche un vaso in regalo, con la prescrizione che esso doveva rimanere sempre chiuso e nessuno doveva assolutamente guardarci dentro. Ipemeteo aveva ricevuto da Prometeo la raccomandazione di non accettare mai alcun regalo dagli dei e principalmente da Giove, quando l' araldo gli si presentò con Pandora ed il vaso, dapprima rifiutò il regalo, ma poi, spaventato dall'ira che avrebbe scatenato in Giove, accettò i doni.
Pandora che era si bella ma anche poco arguta, spinta dalla curiosità che Mercurio le aveva donato, con modi subdoli ricevuti da Ermete,convinse Ipemeteo a vedere il contenuto del vaso, ma, appena aperto, da esso uscirono fuori tutti i guai del mondo che da quel momento avrebbero afflitto l' umanità la fatica, la malattia, la vecchiaia, la pazzia, la passione e la morte; in fondo al vaso rimase solo la speranza.
Fino a quel momento, gli uomini, che non conoscevano le donne, avevano sempre vissuto una vita serena e priva di noie o fastidi, ma da allora in poi la loro vita cambiò.
Pandora per la mitologia Greca è quindi l' Eva che è presente nella bibbia, solo che essa nasce da Efesto e non dalla costola di Adamo; ad essa è affidato il compito di ricreare la specie umana dopo che Giove avendo deciso di sterminare la razza umana, mandò un diluvio universale facendo cadere sulla terra un diluvio d' acqua, infatti Pandora ebbe una figlia Pirra che sposò Deucalione , figlio di Prometeo, dando di nuovo origine al genere umano.
Prometeo fu liberato dal supplizio cui era sottoposto, da Eracle durante una delle famose fatiche dell' eroe.

sabato 18 maggio 2019

domenica 28 aprile 2019

PROVERBI E INDOVINELLI MALIZIOSI SALENTINI


Tienime ca te tegnu;
                                          Reggimi che io reggo te;

Ieni pane, ca te mangiu;
                                          Vieni pane, così ti mangio;

Sordi facenu sordi, petucchi facenu petucchi;
                                          Soldi fanno soldi, pidocchi fanno pidocchi ; 

È megghiu curnutu ca fessa ( se sinti curnutu la sapenu picca );
                                          Meglio cornuto che fesso
                                              ( se sei cornuto lo sanno in pochi );

Ogne petra auzza parite ;
                                           Ogni pietra alza un muro;

Tira la petra e scunde la manu ;
                                            Tira la pietra e nasconde la mano ;

Ogne petra caurtata, nu rrimane mmienzu lla strata;
                                 Ogni pietra bucata non resta in mezzo ad una via ;

INDOVINELLI

Sta bbegnu te Milanu cu nnu gingillu mmanu,
lu portu alla sposa, nci lu mintu lla pelusa ;
                                 Sto venendo da Milano con un gingillo in mano, 
                                 lo porto alla sposa, glielo metto alla pelosa ;

Ai! mamma cce mme ntisi, la prima fiata ca me lu misi.
figghia mia, minti sputazza, ca te sana la spaccazza ;
                                 Ahi mamma chr sentii, la prima volta che me lo misi.
                                 Figòlia mia metti saliva che lo spacco ti guarisce ;

Scii nna chiesureddhra, nci ttruai nna caruseddhra,
la utai, la tantai, era pelusa e lla lassai;
                                 Andai in un orticello, ci trovai una giovinetta,
                                 la voltai, la toccai, era pelosa e la lasciai;

Mamma mia me sentu prena.
Figghia mia, sci tà mprtenata ?
Mà mprenata nnu furesazzu
cu nna cosa longa e liscia,
ca l' à misa ddò se piscia.
                                   Mamma mia mi sento pregna
                                   Figlia mia chi t' mpregnò ?
                                   M' impregnò un contadinazzo  
                                   con una cosa lunga e liscia,
                                   che ha messo dove si piscia.

SOLUZIONI

1 ) La pettenessa                                                     Il pettine
2 ) lu recchinu                                                         l' orecchino
3 ) la menunceddhra                                               la poponella
4 ) lu spinieddhru te la utte                                     lo zipolo della botte

giovedì 25 aprile 2019

LA CARTAPESTA LECCESE


" Figghiu, è santu stu mestieri,                 " Figlio, è santo questo mestiere,
  santu Ronzu, santa Rini,                            sant' Oronzo, santa Irene,
  ieu bbu fazzu li custumi                             io vi faccio i vestiti
  ui lu ggiurnu te la morte                           voi il giorno della morte
  me mandati an paraisu ".                          mi mandate in paradiso "

La teoria che la cartapesta leccese fosse inizialmente stata influenzata dall' arte dei cartapestai romani e / o bolognesi intorno agli anni a cavallo fra i secoli XVII e XVIII è oggi superata. Si tende a credere che essa sia più che altro stata influenzata dai cartapestai napoletani che furono attivi in quello stesso periodo.
L' importanza della città di Lecce, intorno al 1532, eletta la capitale della Puglia, era giudicata il " viceregno " della città di Napoli, ciò permetteva a Lecce di assumere ( anche se le sue dimensioni non le davano questo appellativo) le caratteristiche di una piccola metropoli.
Nel XVII° secolo infatti la città subì una radicale trasformazione con l' ammodernamento di tutti i monumenti.
Di ciò si avvantaggiarono i cartapestai locali che poterono così apprendere le tecniche dei maestri cartapestai napoletani e migliorare quest' arte le cui caratteristiche nel corso del tempo hanno subito una continua evoluzione al punto che oggi la nostra cartapesta è riconoscuta la migliore a livello mondiale.
Partendo da due paletti di legno legati a croce cui si legano, con del fil di ferro, vari strati di paglia per dare un abbozzo della sagoma che si vuol dare, i maestri cartapestai leccesi, con della carta di giornali, della " ponnula " ( una colla fatta di farina 00 miscelata con acqua ), e pochi ferri che nel corso dei secoli sono rimasti sempre gli stessi,
riuscivano a creare inizialmente solo statue di natura religiosa, in quanto la richiesta di queste era molto alta, mentre oggi possiamo anche ammirare altri oggetti d' arredamento che la fantasia dei moderni cartapestai riesce a creare.
Quest' arte fa ormai parte della cultura e del folklore leccesi, tanto da essere meta e richiamo turistico, impossibile andare via da Lecce senza aver visitato almeno un laboratorio di cartapesta.
Il cartapestaio non è solo un lavoratore della carta, egli deve anche possedere un buona conoscenza della pittura, per dare alla sua opera quell' immagine che più la avvicina alla realtà, ed essere anche un ottimo lavoratore della creta per poter dare agli arti delle statue che realizza una corrispondenza con quelli umani.
Purtroppo la storia non narra di maestri cartapestai leccesi se non di epoca successiva all' inizio del XVIII° secolo, quando ormai quest' arte era già divenuta famosa ed aveva oltrepassato i confini della Puglia e dell' Italia; il primo di cui ci narra fu Pietro Surgente, un artigiano che aveva il suo laboratorio in via delle anime del purgatorio al n° 16, L' attuale corso Vittorio Emanuele, che partendo da via Libertini giunge a piazza sant' Oromzo; allora il termine cartapestaio ancora non esisteva perciò egli si definiva : " Stucchiatore dimorante a Lecce " .
Nato a Lecce il 10/5/1742 e morto nel 1827, era denominato dai leccesi " mesciu Pietru te li cristi " e fu fra l' altro maestro di Antonio Maccagnani, zio dello scultore Eugenio Maccagnani cui è dedicata la famosa Galleria d' arte sita sul corso Vittorio Emanuele.
Antonio Maccagnani nato a Lecce nel 1809 e morto nel 1892 fu sicuramente il più conosciuto fra i cartapestai leccesi, fu allievo, oltre del già citato Pietro Surgente, anche del maestro Raffaele de Augustinis e, per il disegno, del pittore Luigi Tondi,
Attorno al 1840, visto il successo che riscuoteva l' arte della cartapesta, molti altri artigiani ritennero doveroso dedicarvisi ed in particolare i barbieri, fra questi divenne famoso Achille de Lucrezi che superò in fama sia Raffaele che Francesco ed Eugenio Maccagnani, rispettivamente, fratello, figlio e nipote di Antonio.
Altri cartapestai famosi sono stati Giuseppe Manzo, Luigi Guacci, allievo di Raffaele Maccagnani,Caretta, Malecore e tanti altri artisti che sarebbe troppo lungo elencarli tutti.
C' è solo da aggiungere che la cartapesta non è solo la nobile arte della città di Lecce, anche se ne rappresenta sicuramente una peculiarità,tanto da averne dedicato una via, ma anche della provincia leccese.

giovedì 18 aprile 2019

PROVERBI E INDOVINELLI MALIZIOSI SALENTINI





PROVERBI.....e modi di dire

A stu mundu, o te rranci,
o te cangi, o te spari;
                                            A questo mondo, o ti adatti,
                                            o cambi, oppure ti spari;

Llu speziale nu ssaggiare,
llu firraru nu tuccare,
llu nferraciucci nu tta cucchiare;
                                           Al farmacista non assaggiare,
                                           al fabbro non toccare
                                           al maniscalco non ti avvicinare;

A stu mundu ncete ci navica e ci a funnu và,
e cci navicare nu ssape cchiù a funnu se ne và;
                                A questo mondo c' è chi naviga e chi va a fondo,
                                e chi non sa navigare, più a fondo se ne va;

A becchiu, a furestieri e a ccane,nci pierdi lu pane;
                                A vecchio, a forestiero ed a cane, ci perdi il pane;

Comu spiendi, mangi ;
                                Come sèpendi, mangi ;

All' amicu, amicu, la carne cu ll' essu ;
                                All' amico, amico, la carne con l' osso;


INDOVINELLI

Cumpare, tamme quiddhru tantu ffazzu lu ccinfete ccianfete;
cummare, mpena ete prontu, te lu tau;
                              Compare, dammi quello, che ci faccio il cic e ciac
                              comare, appena è pronto te lo do; 

Lu tata lu porta testu, e lamamma ni lu rremoddhra;
                               Il papà c' è l' ha duro, e la mamma glielo ammollisce;

Ieri ssira lu vitti lla mamma, lu tinia niuru, niuru,
tissi: " Mamma me lu tai ? "
me respuse: " Fiju meu, nci serve llu tata "
                               Ieri sera l' ho visto alla mamma, lo portava nero, nero,
                               dissi :" mamma, me lo dai  ? "
                               mi rispose : " Figlio mio, serve a papà.

SOLUZIONI

1) Lu lliatu                                                 Il lievito
2) Lu saccu te farina                                 Il sacco di farina
3) Lu cappottu                                           Il cappotto

domenica 31 marzo 2019

LI CULACCHI TE PAPA CALIAZZU


Ddo patreterni

Tice nnu tittu leccese ca quandu mpresti nna cosa la tai cu lle manu e lla pigghi cu lli pieti, ma quandu mpresti sordi nu lli iti cchiui.
Papa Caijazzu ia mprestati sordi a nnu cristianiu te lu Cugnanu e pe quantu facia e tecia, quisti eranu sordi ca nu turnanu mai rretu, ddhru cristianu ni respundia sempre ca nu nni li putia tare percene nu lli tenia percene siresa nu ia ncora muertu e nu putia pijare la redità.
Pe stu fattu e  cu sta scusa intantu lu tiempu ia passatu; cchiui te nn' annu.
Nnu giurnu ca papa Caliazzu stia nnu picca nervosu e ddhru cristianu n'ia ncora titta ddhra storia, papa Caliazzu ca nu nde putia cchiui ni tisse :
" Sireta nu mmore mai, sapia ca ncera nnu patreternu ma moi me nde ccorgu ca me sbaijava. Suntu ddoi ".

Due padreterni

Racconta un proverbio leccese che quando presti qualcosa, la dai con le mani e la riprendi coi piedi, ma quando presti soldi, non li vedi più .
Papa Galeazzo aveva prestato dei soldi ad un suo compaesano e, per quanto ne chiedesse la restituzione, quei soldi non ritornavano mai, quello rispondeva sempre che non poteva restituirglieli poichè non era ancora entrato in possesso
dell' eredità del padre ancora vivo.
E con questa scusa era passato più di un anno.
un giorno che l' arciprete era più nervoso del solito, alla solita risposta, non potendone più, gli disse:
" Tuo padre non morirà mai, sapevo che c' era un padreterno, ma mi rendo conto che sbagliavo. Sono due ".

giovedì 28 marzo 2019

L' EROTISMO NELL' ARTE E NELLA POESIA

AMORE E PSICHE






Che gli dei della mitologia greca avessero tutti i difetti umani, anzi li rappresentassero, è cosa risaputa,
La leggenda di Amore e Psiche ne è un' ulteriore dimostrazione, in essa vediamo come l' invidia e la gelosia di una dea verso una comune mortale anzichè sortire l' effetto voluto, è motivo di un grande amore sbocciato fra il dio Eros, figlio di Venere e la principessa Psiche, senza che gli stessi dei potessero far nulla per modificare il succedersi degli eventi.
LA LEGGENDA
Psiche è la terzogenita di un re che non riusciva a trovare marito a causa della sua bellezza, era infatti paragonata ad una dea tanto da essere venerata al posto di Venere il cui culto andava decrescendo. La dea, infastidita da ciò, decise perciò di punire Psiche incaricando suo figlio Amore ( Eros - Cupido ) di farla innamorare di un umano molto brutto e misero.
Mentre Amore stava per lanciare la sua freccia, che avrebbe esaudito il desiderio della madre, vedendo la bellezza della fanciulla, ne rimase colpito e per sua disattenzione, la freccia che stava per lanciare, gli cadde di mano e lo colpì ad un piede, perciò Amore se ne innamorò all' istante e si rivolse a Zefikro perchè alla prima occasione la rapisse e la conducesse a lui.
Intanto il re, padre di Psiche, vedendo che la figlia, se pur bellissima, non riusciva a trovare marito, si rivolse all' oracolo di Apollo che sentenziò che Psiche avrebbe dovuto, in abito da sposa, essere abbandonata su una collina perchè avrebbe avuto un marito molto importante.
Abbandonata e spaventata, Psiche, con l' arrivo della notte, si addormentò, allora Zefiro in un soffio la sollevò e la portò in una villa adagiandola su un materasso di fiori.
Svegliatasi, la fanciulla si ritrovò in quell' ambiente da favola e vide una casa stupenda all' esterno, decise di entrarci e si rese conto che l' interno era ancora più bello, mobili stupendi, suppellettili d' oro, ma in quella casa, non vi era nessuno, udiva solo delle voci che le dicevano che tutto ciò era suo.
Giunse la sera e  Psiche si addormentò in un letto comodo e spazioso, ma, appene abbprmentata, fu svegliata da qualcuno che si adagiò, nel buio, accanto a lei, gli chiese chi fosse e lui disse di essere il suo sposo.
Fu una notte d' amore che  trascorse fra dolcissime effusioni, ma al sopraggiungere dell' alba, lo sposo, senza che lei potesse vederlo, andò via,
Così per altre notti, lei trascorreva le giornate da sola ma la notte Amore andava a trovarla.
Psiche si annoiava tutti i giorni senza far nulla e senza alcuna compagnia, perciò lo disse al suo sposo chiedendogli di poter almeno ospitare le sue sorelle, Amore acconsentì e ciò fu fatto.
Le  sorelle, ospiti di Psiche, erano incuriosite da questo amore notturno e, invidiose, sobillarono la fanciulla, era impossibile, dicevano, che lei non conoscesse almeno il volto dell' amante, poteva anche essere un mostro, un bestia, che avrebbe anche potuto farle del male.
Fu così che una notte, dopo avere fattoall' amore ed il suo sposo addormentato, psiche prese una lampada ed un coltello per prevenire brutte sorprese, ed illuminò il volto del suo amante che le dormiva accanto. Vide sul cuscino una cascata di riccioli d' oro su un volto fanciullesco d' angelo, tanto bello da farla subito innamorare.

VALERIO MARZIALE

Nato intorno al 40 d.c. a Bilbilis, in Spagna, si trasferì, poco più che ventenne, a Roma dove visse esercitando il mestiere di " cliente ", ossia  " cortigiano " di ricchi ed noti personaggi.
Con la pubblicazione, nell' anno 40 iniziò la sua fortunata carriera di poeta, anche se non lo rese ricco, gli procurò fama, un podere a Nomentum ed una casa sul Quirinale; ricevette anche da Domiziano il titolo onorifico di tribuno militare e di cavaliere.

DAL I° LIBRO DEGLI EPIGRAMMI

Versum scribere me parum severos
nec quos paelegat in schola magister,
Corneli, quereris; sed hi libelli,
tamquam coniugibus suis mariti,
non possunt sine mentula placere
quid si me iubeas thalassiomen
verbis dicere non thalassionis ?
quis Floralia vestis et stolatum
permittit meretricibus pudorem ?
lex haec carminibus data est iocosis
ne possint, nisi pruriant, iuvare,
quare deposita severitate
parca lucibus et iocis rogamus,
nec castrare melis meos libellos
Gallo turpius est nihil Priapo   

 
                         Ti lamenti, Cornelio del mio scrivere versi poco seri,
                         che non sceglierebbe un maestro per la scuola;
                         ma questi opuscoli sono come i mariti,
                         non possono piacere, alle proprie mogli, senza cazzo.
                         Come se, in un' erotica canzone,
                         non possano apparire erotiche parole ?
                         Se per i Floralia vesti con vesti di stola,
                         puoi pretendere il pudore dalle puttane ?
                         A questi carmi è data una regola giocosa
                        nè possono giovare senza essere lascivi.
                        In che modo, chiediamo, imponi un po' di serietà
                        agli scherzi e ai giochi
                        nè puoi castrare i miei opuscoli.
                        Il più turpe Gallo è nessun Priapo.      

PROVERBI E INDOVONELLI MALIZIOSI SALENTINI






INDOVINELLI

Cummare te portucaddhru
tamme nnu pizzecu,
quantu ccriscu stu taraddhru;

                                                     lu lievitu

                                                  Comare di portogallo
                                                  dammi un pizzico
                                                  quanto da crescere questo tarallo

Ncarra maritu miu, minti sputazza
ppuntiddhra forte li pieti llu parite,
accortu cu nu sgarri la spaccazza,
e ieu te teggnu pe mmappare te culu;

                                                       la sega                  

                                                   Spingi marito mio, metti saliva,
                                                   puntella forte i piedi contro il muro,
                                                   attento a non romper la fessura,        
                                                   che io ti tengo per le chiappe del culo

Ieu tescia trasi,
e iddhra nu mbulia.
Poi ttruai lu pertusu,
la cacciai dopu l' usu;

                                                        la chiai ( la chiave )

                                                    Io dicevo entra
                                                    e lei non voleva.
                                                    Poi trovai il buco,
                                                    la tirai fuori dopo l' uso       

Niuru lu nduce lu tata
russu face ddenta, la mamma

                                                          lu craune ( il carbone )

                                                     Nero lo porta papà
                                                    rosso lo fa diventare la mamma

PROVERBI

La fimmena ete comu lla castagna, te fore ete bbeddhra, ma intru tene la mafagna;

Penza llu te fore, ca lu te iuntru, comu cristu ole;

Tira cchiui nnu pilu ca lu nsartu;

L' erva ca nu mbuei, all' uertu tou, crisce;

Quiddhru ca simmi,  nquegghi;

Le corne suntu comu li tienti, tolenu quandu essenu, ma poi te servenu mmangi;

Allu ciucciu, tanni via, ma nu nni tare fatia;

Lu ciucciu nduce la paija, e sulu, sulu se la rraija;

Sape cchiui nnu fessa ccasa soa, ca nnu saputu mmienzu lla chiazza .

sabato 23 marzo 2019

DOTTORE


INDOVINELLI MALIZIOSI SALENTINI


Tegnu nna cosa cu nnu pertusu niuru e pilusu
ci te lu mintu nnanti e nde cali l' oju santu
quista cosa certu è stata ca lu entre t' à b' unchiatu

                                                l' utre ( l' otre )

                           tengo una cosa con un buco nero e peloso
                           se te lo metto davanti e gli versi l' olio santo
                           questa cosa certo è stata che la pancia ti ha gonfiato

Culu ssetta ssetta, mena mena la sciuscetta,
peti, peti zzucculanti, masculu stringi
fimmena llarga, e llu fattu ae nnanzi

                                                         lu talaru ( il telaio ) 

                                               culo siedi siedi, tira tira la navetta   
                                               piedi piedi altalenanti, maschio stringi
                                               femmina allarga, ed il fatto va avanti

La signura tenia l' anche stise,
lu cucchieri le azzau e nni lu mise.

                                                     il cavallo alla carrozza

                                                la signora aveva le gambe distese,
                                                il cocchiere le alzò e glielo mise.

PROVERBI

Ci nu ccetta nu mmereta

Ientu te nanzi e tramuntana te retu;

Lu bbinchiatu nu crite llu tesciunu;

Mangia quantu ai, e nnu tire quantu sai;

Prima tte spuesi uarda la razza, se nu bbuei ccacci le corne comu nna cozza;

Ci sputa ncielu, nfacce ni cate;

La caddhrina face l' eu e llu caddhru ni usca lu culu;

la mamma te lu bbeddhru miu ete nna signura,
 se ole nna serva ni la fazzu ieu,
aquandu lu fiju sou naggiu pijatu,
iddhra ete la serva e ieu la signura;

Piu piu, futte l' omu e fazza ddiu.

lunedì 18 marzo 2019

INDOVINELLI MALIZIOSI SALENTINI






Maritu meu stà terni te la fera
senza ttieni mmienzu ll' anche  ccenca 'ncera?
Mujera mia li lagni toi su  fausi,
ca cce tenia lu tegnu intra lli causi;
                                        li sordi te lu ciucciu 'mpauta ( l' asino venduto )
                                   Marito mio torni dalla fiera
                                   senza ciò che avevi fra le gambe?
                                   Moglie mia, sbagli a lamentarti,
                                   che ciò che avevo, l' ho nei pantaloni.
                                                                     
Quantu cchiù lengu e ressu ete,
cchiù piace lla patruna;
                                                                      lu menaturu ( il chiavistello )
                                      Quanto è più lungo, e grosso,
                                      più piace alla padtona.

Ddhra fetente tunda, tunda,
stae ccucciata cu sette tamantili,
ma te sutta nu nni coprenu li pili;
                                                                       la cepuddhra ( la cipolla )
                                     Quella fetente, tonda, tonda
                                     si copre con sette grembiuli
                                     ma da sotto, si vedono i  peli.

Scendu a nna strata scura,
ttruai nna bbeddhra signura,
tenia ncapu nna bbeddhra pajetta
e l' anca senza quasetta;
                                                                lu fungaru ( il fungaiolo )
                                     Percorrendo un buio sentiero
                                     trovai una bella signora
                                     con in testa una bella paglietta
                                     e la gamba senza calzetta.

PROVERBI

A sciugnu, luju e acustu,
nu ssu bbone nè fimmine nè mustu.

Allu uettu, Maria,
allu tritici santa Lucia
allu inticinque lu missia.

A llu camisciu, o site, o fame , o sennu


sabato 16 marzo 2019

LI CULACCHI TE PAPA CALIAZZU


Ncera allu Cugnanu nnu ecchiu ca tutti chiamane lingua nvelenata, percene scia sempre tagghiandu tutti quanti li paesani soi; e nnu sulu quiddhri, ma tagghiaa puru cinca ni ccappaa nnanzi.
Nnu giurnu, ddhru cristianu morse e lu mietecu tisse ca ia muertu nvelenatu  " per assorbimento ".
Foi chiamatu papa Caliazzu, cu nni bba descia la strema nzione e quiddhru, quandu sippe comu ia muertu tisse:
" Pericciu, se ite ca s' ia muzzecata la lingua ".

venerdì 15 marzo 2019

L' EROTISMO NELL' ARTE E NELLA POESIA



Nell' antica Grecia. luogo in cui nacquero le olimpiadi. gli atleti, è risaputo. gareggiavano nudi, senza perciò scandalizzare i bempensanti  contemporanei. Le statue degli eroi classici rappresentano perciò personaggi nudi, il David, il discobolo qui rappresentato, ed altre.
L' armonia delle proporzioni e la perfezione stilistica ne fanno dei capolavori senza tempo; realizzato da Mirone intorno al 455 a.c., il Discobolo era inizialmente in bronzo ma nell' era romana se ne realizzarono diverse copie marmoree che oggi possiamo osservare in diversi luoghi e musei.


I CARMINA PRIAPEA , celebre raccolta di 80 composizioni licenziose ed allegre.
a causa di un' errata attribuzione di Plinio il Giovane che in una lettera descrisse Virgilio come uno dei più validi poeti licenziosi del suo tempo, furono per lungo tempo attribuiti a Virgilio.
Nel Trecento, iniziarono però a sorgere i primi dubbi su quest' attribuzione ed il titolo cominciò ad essere modificato in DIVERSOS AUCTORUM PRIAPEA.
Oggi, i Carmina Priapea vengono attribuiti a Priapo che se non li scrisse tutti, sembra che almeno li cantasse; ammoniscono i ladri a non rubare negli orti o nei giardini, oltraggiano le dame o i pederasti, oppure contengono significativi doppi sensi.

Quam puero legem fertur dixisse Priapus,
Versibus haec infra scripta duobus erit:
" Quod meus hortus habet, sumas impune licebit,
Si dederis nobis, quod tuus hortus habet".

                          Dicono che Priapo, per un fanciullo promulgasse
                          la legge appresso scritta in doppi versi:
                          " Ciò che il mio orto ha, potrai prendere senza timore,                                 se mi darai ciò che il tuo orto ha".

Matronae procul hinc abite castae: 
Turpe es vos legere impudica verba,
Non assis faciunt euntque recta:
Nimitum sapiunt videntque magnam
Matronae quoque mentulam libenter

                             Caste matrone, fuggite via
                             È turpe per voi leggere parole impudiche,
                             Ma non ascoltano, tirano dritto:
                        Ma ben sappiamo che le matrone
                        Guardano volentieri un grosso cazzo.

Cur obscena mihi pars sit sine veste, requiris?
Quaero, tegat nullus cur sua tela deus.
Fulmen habet mundi dominus,tenet illud aperte;
nec dature aequoreo fuscina tecta deo
Nec Mavors illum per quem valet, occultis ensem,
Nec latet in tepido, Palladis hasta sinu.
Num pudet auratas Phoebum portare sagittas?
Cimare solet pharetram ferre Diana suam?
Num tegit Alcides nodosae robora clavae?
Sub tunica virgam num deus ales habet?
Quis bacchum gracili vestem praetendere thyrso?
Quis te celata cum face vidit Amor?
Nec  mihi sit crimen quod mentula semper aperta est:
Hoc mihi si telum desit, inermis ero 

                    Perchè mi dici osceno se appaio senza vesti?
                    Chiedo perchè nessun dio copre le sue armi con un telo.
                    Il signore del mondo ha il fulmine, lo  mostra apertamente                     Il dio del mare mostra il suo tridente
                    Nè Marte stesso col suo valore nasconde la spada
                    Nè Pallade lascia la lancia languirle nel seno.
                    Non si vergogna Febo di mostrare le frecce d' oro?
                    Suole Diana nascondere la sua faretra?
                    Forse Alcide nasconde la sua nodosa clava?
                    L' alato dio cela la verga sotto la tunica?
                    Chi mai vide Bacco coprirsi il corpo.
                    Chi vide Amore nascondere ill volto?
                    Non è per me un crimine avere sempre scoperto il cazzo:
                    Coperto di stoffa, sarei inerme















     


 

















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