giovedì 28 marzo 2019

L' EROTISMO NELL' ARTE E NELLA POESIA

AMORE E PSICHE






Che gli dei della mitologia greca avessero tutti i difetti umani, anzi li rappresentassero, è cosa risaputa,
La leggenda di Amore e Psiche ne è un' ulteriore dimostrazione, in essa vediamo come l' invidia e la gelosia di una dea verso una comune mortale anzichè sortire l' effetto voluto, è motivo di un grande amore sbocciato fra il dio Eros, figlio di Venere e la principessa Psiche, senza che gli stessi dei potessero far nulla per modificare il succedersi degli eventi.
LA LEGGENDA
Psiche è la terzogenita di un re che non riusciva a trovare marito a causa della sua bellezza, era infatti paragonata ad una dea tanto da essere venerata al posto di Venere il cui culto andava decrescendo. La dea, infastidita da ciò, decise perciò di punire Psiche incaricando suo figlio Amore ( Eros - Cupido ) di farla innamorare di un umano molto brutto e misero.
Mentre Amore stava per lanciare la sua freccia, che avrebbe esaudito il desiderio della madre, vedendo la bellezza della fanciulla, ne rimase colpito e per sua disattenzione, la freccia che stava per lanciare, gli cadde di mano e lo colpì ad un piede, perciò Amore se ne innamorò all' istante e si rivolse a Zefikro perchè alla prima occasione la rapisse e la conducesse a lui.
Intanto il re, padre di Psiche, vedendo che la figlia, se pur bellissima, non riusciva a trovare marito, si rivolse all' oracolo di Apollo che sentenziò che Psiche avrebbe dovuto, in abito da sposa, essere abbandonata su una collina perchè avrebbe avuto un marito molto importante.
Abbandonata e spaventata, Psiche, con l' arrivo della notte, si addormentò, allora Zefiro in un soffio la sollevò e la portò in una villa adagiandola su un materasso di fiori.
Svegliatasi, la fanciulla si ritrovò in quell' ambiente da favola e vide una casa stupenda all' esterno, decise di entrarci e si rese conto che l' interno era ancora più bello, mobili stupendi, suppellettili d' oro, ma in quella casa, non vi era nessuno, udiva solo delle voci che le dicevano che tutto ciò era suo.
Giunse la sera e  Psiche si addormentò in un letto comodo e spazioso, ma, appene abbprmentata, fu svegliata da qualcuno che si adagiò, nel buio, accanto a lei, gli chiese chi fosse e lui disse di essere il suo sposo.
Fu una notte d' amore che  trascorse fra dolcissime effusioni, ma al sopraggiungere dell' alba, lo sposo, senza che lei potesse vederlo, andò via,
Così per altre notti, lei trascorreva le giornate da sola ma la notte Amore andava a trovarla.
Psiche si annoiava tutti i giorni senza far nulla e senza alcuna compagnia, perciò lo disse al suo sposo chiedendogli di poter almeno ospitare le sue sorelle, Amore acconsentì e ciò fu fatto.
Le  sorelle, ospiti di Psiche, erano incuriosite da questo amore notturno e, invidiose, sobillarono la fanciulla, era impossibile, dicevano, che lei non conoscesse almeno il volto dell' amante, poteva anche essere un mostro, un bestia, che avrebbe anche potuto farle del male.
Fu così che una notte, dopo avere fattoall' amore ed il suo sposo addormentato, psiche prese una lampada ed un coltello per prevenire brutte sorprese, ed illuminò il volto del suo amante che le dormiva accanto. Vide sul cuscino una cascata di riccioli d' oro su un volto fanciullesco d' angelo, tanto bello da farla subito innamorare.

VALERIO MARZIALE

Nato intorno al 40 d.c. a Bilbilis, in Spagna, si trasferì, poco più che ventenne, a Roma dove visse esercitando il mestiere di " cliente ", ossia  " cortigiano " di ricchi ed noti personaggi.
Con la pubblicazione, nell' anno 40 iniziò la sua fortunata carriera di poeta, anche se non lo rese ricco, gli procurò fama, un podere a Nomentum ed una casa sul Quirinale; ricevette anche da Domiziano il titolo onorifico di tribuno militare e di cavaliere.

DAL I° LIBRO DEGLI EPIGRAMMI

Versum scribere me parum severos
nec quos paelegat in schola magister,
Corneli, quereris; sed hi libelli,
tamquam coniugibus suis mariti,
non possunt sine mentula placere
quid si me iubeas thalassiomen
verbis dicere non thalassionis ?
quis Floralia vestis et stolatum
permittit meretricibus pudorem ?
lex haec carminibus data est iocosis
ne possint, nisi pruriant, iuvare,
quare deposita severitate
parca lucibus et iocis rogamus,
nec castrare melis meos libellos
Gallo turpius est nihil Priapo   

 
                         Ti lamenti, Cornelio del mio scrivere versi poco seri,
                         che non sceglierebbe un maestro per la scuola;
                         ma questi opuscoli sono come i mariti,
                         non possono piacere, alle proprie mogli, senza cazzo.
                         Come se, in un' erotica canzone,
                         non possano apparire erotiche parole ?
                         Se per i Floralia vesti con vesti di stola,
                         puoi pretendere il pudore dalle puttane ?
                         A questi carmi è data una regola giocosa
                        nè possono giovare senza essere lascivi.
                        In che modo, chiediamo, imponi un po' di serietà
                        agli scherzi e ai giochi
                        nè puoi castrare i miei opuscoli.
                        Il più turpe Gallo è nessun Priapo.      

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