Nel narrare ieri del Burchello, citai una poesia di Carlo Gozzi, ma quanti lo conoscono? Accennai anche ad alcuni giudizi nei confronti del Goldoni e del suo antagonista P. Chiari, colpevoli di mettere in scena argomenti troppo realistici e plebei.
E' interessante perciò conoscere un po' meglio questo personaggio nato e vissuto a Venezia fra il 1720 ed il 1806 da una famiglia nobile ma in ristrettezze economiche, e che nonostante ciò, non volle mai ricevere guadagni dalle sue opere
Assieme al fratello Gasparo, fu fra i fondatori nel 1747 dell' accademia dei Granelleschi, nota per essere una delle istituzioni più conservatrici del '700 tutte le sue opere sono state scritte in Italiano ( Toscano come amava dire lui ) .
Le sue opere teatrali ebbero un rapido ma effimero successo in patria, mentre furono più apprezzate dal pubblico Tedesco e Francese che ne apprezzava gli elementi fiabeschi.
Le sue più famose opere sono :
La Tartana degli Influssi dalla quale ho tratto sia i versi citati ieri che quelli che cito sotto;
Dieci Fiabe Teatrali che riprendono schemi e maschere della commedia dell' arte e riferimenti alle Mille e una notte ed al Pentamerone di G: Basile, le più celebri delle quali sono L'Amore delle tre melarance, Turandot, L' augellin belvedere, tutte opere satiriche e caricaturali.
In alcune sue poesie, lamenta lo scarso successo di vendite dei suoi libri tanto da indurre il libraio a spacciarli come scritti dal Goldoni che sicuramente vende di più.
Non manca neppure una frecciata al : " Lo stormo d' eruditi Veneziani ", non è in grado di riconoscere queste bugie; lo scopo di tutto ciò non è quello di aumentare gli introiti che , come già detto , non lo interessavano per via del suo " aristocratico orgoglio ", ma perchè ciò gli avrebbe fornito maggior popolarità, comunque nelle spese bisognava pur rientrare.
Avete potuto notare ieri in quale considerazione egli avesse i versi Martelliani ed anche in quest' occasione non manca di criticarli, dicendo fra l' altro che sia il Goldoni che il Chiari scrivono di quei versi.
AL LIBRAJO
VENDITOR DELLA TARTANA
SONETTO
Libraio, tu fai cera d' impiccato,
La tartana rimane alla bottega,
Ella non si ricuce e non si lega,
E ne rimane il capital diacciato.
Sopra la sua sciagura ho assai pensato,
Che duolmi, ogniun di comperarla niega;
Vuo' tu che il popol n' abbia frega?
Fa, com' io dico, che sia tanagliato
Spaccia fra l' altre tue questa bugia:
Dì che l' opra è del Chiari o del Goldoni
E ch' ella è scritta in versi Martelliani.
Che importa questo, e quel vero non sia?
Vedrai volerla a costo de' polmoni
Da un stormo d' eruditi Veneziani;
Che scuotendo le mani
Diran ; Grand' uomo! gran verso! gran sentenza!
Fallo e vedranne bella esperienza
sabato 23 novembre 2013
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