venerdì 22 novembre 2013

DE' VERSI MARTELLIANI

La satira è una delle forme d' arte che tende a censurare i comportamenti di coloro  che detengono il potere e di tutte le persone in vista, in generale.
Fin dalla notte dei tempi, l' uomo ha usato questo mezzo d' espressione per dare libero sfogo alle proprie lamentele nei confronti di coloro che reggevano le leve del potere.
A Roma esiste ancora una statua, volgarmente chiamata il Pasquino, dove venivano affisse le " Pasquinate ",
satire per lo più destinate al clero.
Non sempre chi satireggiava era ben visto dai poteri pubblici, anche perchè e difficile che chi detiene il potere, sia anche dotato di una dose di autocritica che gli consenta di accettare le critiche spesso molto mordaci di coloro che gli sono sottoposti.
Molto spesso, infatti, coloro che avevano l' ardire di mettere in satira le malefatte politiche, erano perseguitati e, per bene che andasse, esiliati.
Questo fu infatti il destino di un poeta satirico fiorentino del '400, tale Domenico de Giovanni detto il Burchello, barbiere che nella sua bottega ospitava poeti, artisti, ma anche oppositori dei Medici e che inventò un nuovo modo di poetare improntato sull' improvvisazione.
Poetare alla burchia divenne molto presto sinonimo di poetare in un susseguirsi di parole ed immagini che a prima vista non avevano un nesso apparente.
I VERSI MARTELLIANI, come ci ricorda in una sua poesia pubblicata nel ' 700 nel SAGGIO DI VERSI FACETI E DI PROSE, il conte veneziano Carlo Gozzi che, in antitesi col Goldoni e con Chiari, che accusava di scrivere opere troppo popolari, scriveva che questi versi erano scritti " co' denti, co' piedi, e colle mani".

I lucci, i barbagianni e le marmegge,
Disse il Burchel, che del futuro ha scritto,
Vorrebber ogni dì far nuova legge
Per espugnar più facilmente il vitto;
Però l' usata forma si corregge,
Oggi è l' antico verseggiar sconfitto    
E co' denti, co' piedi e colle mani,
Formansi versi detti Martelliani.
Del novembre bisesto altro non disse,
Che de' versi all' usanza il Burchel dotto;
E pianse il buon profeta e se n' afflisse. 
Veggendo il metro suo rimaner sotto
E questo mal influsso anche predisse
Il certo vaticinio, con quel motto:
Tanto è il ver chiuso, e il lirico prosaico
E non mi par, che si favelli ebraico.
Ancor gridava: " Io son presso allo estremo ;
Deh odi, se lo son ben cose strane,
Che infornando migliacci con un remo


Suonavano a martello le campane ".
E volea ragionar per certo, io temo,
Sopra a queste favate Martelliane,
Che ci han rotto bene altro che il cervello
Siccome fan le campane a martello ...........

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