mercoledì 15 gennaio 2014

ALLA RICERCA DEI NOSTRI PADRI - MESSAPI 4

A circa 8 km. da Lecce, sulla via che conduceva a Martano e poi ad Otranto, sono stati riportati alla luce i resti di un' antica grande città, il nome arcaico di questa città, è andato perduto, oggi la cittadina che sorge in parte su quei ruderi, si chiama Cavallino.
La parte di quell' insediamento che gli archeologi hanno potuto riportare alla luce ci hanno dato un' immagine delle dimensioni e della strutturazione di una città Messapica.
Bisogna anzitutto dire che si trattava di scavi risalenti al V° sec. a.c., quando le città messapiche avevano, loro malgrado dovuto adottare dei sistemi di difesa dalle invasioni dei popoli greci provenienti  da Atene, Sparta e dalle polis greche che in quei periodi combattevano, siamo infatti intorno all' anno 480 a.c. che vide, fra l' altro la conquista e distruzione di Atene, delle guerre fra loro e contro comuni nemici, ma che non perdevano comunque occasione per espandere i loro domini, Cartagine, l' Impero Persiano erano i nemici che i greci dovevano affrontare in patria ed in Sicilia, mentre si espandevano nel mediterraneo sulla zona ionica della Puglia, del Brutium ed in Sicilia.
Gallipoli, Taranto, Metaponto, Crotone, Siracusa,  Catania, Himera e via via sino a Cuma erano le città conquistate dai greci durante la loro campagna di espansione.
Mentre sul litorale ionico, i greci si espandevano, su quello adriatico pugliese la situazione rimaneva piuttosto tranquilla. la Polis di riferimento era Corfù che intratteneva rapporti commerciali con le città che si affacciavano sul mare adriatico.
I tarentini, in quei periodi, allo scopo di procurarsi degli schiavi, facevano delle continue incursioni nei villaggi messapi, il nome iapige era infatti attribuito ai servi, ed il termine kolabrizesthai ( Calabria ) indicava appunto l' essere trattati come schiavi.
Perciò i villaggi messapici, che fino ad allora non ne avevano avuto necessità furono costrette a fornirsi di adeguati sistemi di difesa e di fortificazioni.
In quel periodo, inoltre i tarentini, fecero innalzare un donario al tempio di Apollo a Delfi dove erano effigiati cavalli e donne messapiche prigioniere.
Ma i tarentini si erano macchiati di una colpa molto più grave che Clearco ci descrive nel IV libro delle Vitae e che riporto tratto da un volumetto di Francesco D' Andria della traduzione integrale curata da Mario Lombardo ( Ateneo, Deipnosofisti, XII 522 D-F ) :
" Clearco, nel IV libro delle Vitae, dice che, dopo aver acquisito forza e potenza, i Tarentini si diedero al lusso e alla mollezza fino al punto di depilarsi su tutto il corpo, introducendo così questa pratica della depilazione per tutti gli altri popoli.
Tutti gli uomini, dice, indossavano vesti trasparenti col bordo di porpora, abiti d cui si adorna oggi la moda femminile.
Ma più tardi, spinti dal lusso alla tracotanza, devastarono una città degli Iapigi, Carbina, i cui fanciulli, canciulle e donne nel fiore dell' età essi raccolsero nei templi dei Carbinati; ed essendosi lì accampati, esponevano agli sguardi di tutti, durante il giorno, i loro corpi nudi, e chiunque volesse, lanciandosi come su uno sventurato gregge, poteva soddisfare le sue voglie con la bellezza delle vittime ammassate in quel luogo; e tutti guardavano, ma sopratutto coloro a cui essi meno pensavano, gli dei. E la divinità si adirò a tal punto da fulminare tutti i Tarentini che a Carbina si erano resi colpevoli di quel misfatto. E ancora oggi, a Taranto,
ogni casa ha innanzi alle porte unb numero di stele pari a quelle dei membri della spedizione in Iapigia che avevano abitato in essa; su queste stele, nell' anniversario del loro annientamento, non piangono gli scomparsi nè versano le libagioni di rito, ma sacrificano a Zeus Kaibantes, cioè Fulminatore".
Questo episodio scatenò le ire degli Iapigi  e scatenò la loro ira al punto che, ce ne parla Erodoto, scatenò la più grande strage di greci, il Phonos Ellenikos Megistos. La furia dei Messapici fu tale che l' esercito greco sbaragliato fu inseguito dai vincitori fino alle porte della città sullo stretto ( Reggio Calabria allora alleata dei Tarentini ) e lì sterminati.
Tornando quindi all' insediamento di Cavallino possiamo dare un o sguardo a come era strutturato, esso ricopriva un'estensione di circa 69 ettari, che ne facevano sicuramente una grande città, la sua cinta muraria era lunga circa 3.100 metri recintata tutt' intorno da u fossato largo 4 metri e profondo 3, le porte erano in legno e rientranti con uno stretto corridoio che offriva ai difensori la possibilità di difenderle dall ' alto; entrando nelle mura c' era una via con marciapiedi ed ai suoi lati due file di case, le costruzioni erano rettangolari e ricoperte con tegole leggermente arcuate, in fondo alla via, una piazza con diversi locali dove si esercitavano tutte le attività, commerciali, artigiane e depositi di tutte le materie di cui avessero bisogno i cittadini, in fondo alla piazza, l' abitazione del principe, questa era circondata da un muro di cinta su un  lato di esso c' era un suolo con delle stele infisse nel terreno, era la zona funeraria; questa è una delle prime testimonianze di necropoli e del culto dei morti dei Messapi, che ritroviamo solo in diversi scavi di età posteriore al V° sec. a.c.
Verso la seconda metà del V° sec. però diverse città dei Messapi, fra cui anche Cavallino, apparivano distrutte ed abbandonate, bruciate e le cisterne per l' acqua riempite di detriti vari, non possiamo ancora conoscerne la causa, probabilmente dovuta a pirati venuti dal mare, od a guerre fra confinanti, la tesi più probabile resta quella che pone queste città attaccate e distrutte dai greci per ritorsione.
Intanto un' altra minaccia incombeva da nord sulle terre dei Messapi, l' espansione di Roma si avvicinava sempre più al Salento e ciò fece sì che molti Iapigi abbandonassero la Puglia in cerca di posti più tranquilli dove poter vivere in pace.
Gli Iapigi comunque rimangono un popolo di pastori e contadini dediti più al lavoro che alla guerra, anche se  costretti a difendersi, dovettero armarsi ed affrontare nemici che essi non  avrebbero voluto.

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