mercoledì 13 gennaio 2016

L' EROTISMO FRA ARTE E POESIA


Che Boccaccio non ci abbia lasciato un Decamerone in versi, è sicuramente una grave mancanza.
Per fortuna, in sua vece, a porre riparo a questo dispetto fattoci dal poeta trecentesco, ci pensò un poeta del '500, Brusantino, del quale ci occuperemo in seguito.
Ciò nonostante i Boccaccio ci ha fornito altri spunti per poterlo annoverare in questo nostro repertorio di poeti dell' erotico.
L' episodio del quale ci occupiamo oggi, descrive la deflorazione della ninfa Mensola da parte del satiro Africo; con l' aiuto ed i  consigli di Venere; egli si traveste da ninfa e riesce a rapire e violentare la ninfa che assieme ad altre sta facendo, ignara, un bagno ed è completamente nuda, sarà perciò agevolato Africo nelle sue intenzioni.
Notevole inoltre la descrizione in versi dell' amplesso in tutte le sue fasi, dallo  stupro fino al rilassamento dopo l' eiaculazioneche ci dà ( se ce ne fosse bisogno ) una visione chiara del talento del Boccaccio.
Il Ninfale Fiesolano è l' opera che contiene  questo episodio, quest' opera tratta, in versi, una leggenda sulla fondazione di Fiesole e Firenze.

Dal NINFALE  FIESOLANO  ( strofe 234 / 245 )

Ell' eran già tanto giù per lo colle
gite, ch' eran vicine a quella valle
ch' e' duo monti divide, quando volle
d' Africo Amor le voglie contentalle,
nè più oltre che quel giorno indugiolle,
trovando modo ad effetto menalle;
Chè, mentre in tal maniera insieme gieno
nella valle, acqua risonar sentieno.

Ne furon guari le ninfe oltre andate,
che trovaron due ninfe tutte ignude,
che 'n pelagio d' acqua erano entrate,
dove l' un monte con l' altro si chiude;
 e giunte lì, s' ebbon e gonne alzate
e tutte quante entrar nell' acque crude,
con l' altre ragionando nel bagnare.
" che farem noi ? Voglianci noi spogliare ? "  

Perch' allor era la maggior calura
che fosse tutto il giorno e dal diletto
tirate di quell' acqua alla frescura,
e veggendosi senz' alcun sospetto,
e l' acqua tanto chiara e netta e pura,
diliberaron far com' avean detto,
e per bagnarsi ognuna si spogliava;
e Mensola con Africo parlava,

e si diceva: " O compagna mia cara,
bagnera'ti tu qui con esso noi ? "
Africo disse con la voce chiara :
" Compagne mie, i' farò quel che voi,
nè cosa che vogliate mi fia amara ".
E fra se stesso si diceva poi :
" S'elle si spoglian tutte, al certo ch' io
non terrò più nascosto il mio desio ".

Ed avvisossi di prima lasciarle
tutte spogliar, e poi egli spogliarsi,
acciò che le lor armi adoperarle
contra di lui non potessono; ed a trarsi
cominciò lento il vestir per poi farle,
quando nell' acqua entrasse per bagnarsi,
per vergogna fuggir pei boschi via,
e Mensola per forza riterria.

E nnanzi che spogliato tutto fosse,
le ninfe eran nell' acqua tutte quante;
e poi spogliato verso lor si mosse,
mostrando tutto ciò ch' avea davante.
Ciascuna delle ninfe si riscosse,
e, con boce paurosa e tremante,
cominciarono urlando : " Omè, omè,
or non vedete chi costui è ? "

Non altrimenti lo lupo affamato
percuote alla gran turba di agnelli,
ed un ne piglia e quel se n' ha portato,
lasciando tutti gli altri tapinelli;
ciascun belando fugge spaventato,
pur procacciando di campar le pelli;
così correndo Africo per quell' acque,
sola prese colei che più gli piacque.

E tutte ' altre ninfe molto in fretta
uscir dall' acqua a lor vestir correndo;
nè però niuna fu che lì sel metta,
ma coperte con essi via fuggendo,
chè punto l' una l' altra non aspetta,
nè mai dietro si givan volgendo;
ma chi qua e chi la si dilegoe,
e ciascuna le sue armi lascioe.

Africo tenea stretta con le braccia
Mensola sua nell' acqua, che piangea,
e baciandole la vergine faccia,
cotà parole verso lei dicea:
" O doce la mia vita, non ti spiaccia
se io t'ho presa, chè Venere iddea
mi t' ha promessa, cuor del corpo mio,
deh, più non pianger per l' amor di dio! "

Mensola le parole non intende
ch' Africo le dicea, ma quanto puote
con quella forza ch' ell ha si difende,
e fortemente in qua e in là si scuote
dalle braccia di colui che l' offende,
bagnandosi di lagrime le gote;
ma nulla le valea forza o difesa,
ch' Africo la tenea pur forte presa.

Per la contesa che facean si desta
tal che prima dormia malinconoso,
e, con superbia rizzando la cresta,
cominciò a picchiar l' uscio furioso;
e tanto dentro vi diè della testa,
ch'egli entrò dentro, non già con riposo,
ma con battaglia grande ed urlamento
e forse che di sangue spargimento.

Ma poi che messer Mazzone ebbe avuto
Monteficalli, e nel castello entrato,
fu lietamente dentro ricevuto
da que' che pria lo avean contrastato;
ma poi che molto si fu dibattuto,
per la terra lasciare in buono stato,
per pietà lagrimò e del castello
uscì poi fuor, umil più d' un agnello.

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